ROMANCE MAGAZINE, UNA RIVISTA PER SOGNARE
http://www.romancemagazine.it/
Una rivista tutta al femminile, quella di Romance Magazine, che si propone di farci entrare nell'universo della scrittura romantica con articoli, link ed interviste alle più grandi scrittrici di questo settore.
Nel numero 0, l'esordio della rivista , il mio primo racconto breve d'amore:
"RICORDO DI UN AMORE"
LEGGENDO ROMANCE MAGAZINE
L'opinione
Il racconto di SIMONA LIUBICICH
RICORDO DI UN AMORE
- Rubrica Ingranaggi e passaggi -
- Il racconto dell'esordiente -
- pag. 89 -
Nel numero 0, l'esordio della rivista , il mio primo racconto breve d'amore:
"RICORDO DI UN AMORE"
La neve scendeva silenziosa, candida nel buio del crepuscolo, ricoprendo con un tacito manto tutta la campagna intorno al podere; ogni suono era pallido, ovattato ed il silenzio sembrava giungere quasi in punta di piedi. Il ghiaccio aveva cancellato i sentieri di campagna e coperto i fossati, mentre la nebbia avvolgeva fosca il paesaggio invernale.
Gli alberi parevano scure ombre, con i loro rami protesi verso il cielo come adunche dita e nuvole plumbee incombevano nel cielo del tramonto. Il mio cipresso, davanti al viale d’ingresso, sembrava secco e solitario ed i corvi gracchiavano tra le sue fronde. La brina ghiacciata aveva coperto da giorni l’erba ed il prato poiché il gelo era appena giunto e, nella piccola serra di fianco alla casa, avevo salvato alberi d’agrumi in grossi vasi di terracotta assieme alle piante estive, ora a riposo.
Faceva freddo, troppo freddo ormai…
Dalla piccola finestra che dava sul giardino, osservavo l’inverno della mia bellissima campagna toscana.
Amavo tutto di quelle dolci colline, i lievi pendii ed i colori che a primavera inoltrata esplodevano in un tripudio vibrante, in un crescendo di vita che culminava nel mese di luglio, quando il sole estivo illuminava le valli con i suoi raggi dorati e rendeva il paesaggio ancora più straordinario.
Avevamo comprato quel podere perché me ne ero innamorata a prima vista; le sue pareti di pietra viva, quel camino enorme nella cucina, il frutteto e la stalla dove avevamo tenuto per anni i nostri due cavalli, Rigel ed Antares, con i quali avevamo trascorso giornate spensierate ed indimenticabili.
Ricordo ancora come fosse ieri la prima volta che t’incontrai, amore mio; era il 1949 e mi trovavo…sì, alla stazione ferroviaria del paese, piccola e con un solo binario, immersa nel verde della valle, dove attendevo una parente in visita da Firenze. Indossavo l’abito della domenica, azzurro, lo ricordo bene, con i guanti coordinati in pizzo ed i miei capelli biondi erano acconciati come voleva la moda del momento; ero una giovane e bella ragazza di appena diciotto anni, con un’immensa voglia di vivere e con il sorriso aperto verso il mondo.
Scendesti anche tu da quel minuscolo treno di soli due vagoni proveniente da Grosseto, elegante nel tuo completo scuro e con il cappello alla Humphrey Bogart che ti ha sempre contraddistinto. I pochi presenti bisbigliavano tra loro…è il nuovo dottore…ed io ti osservavo con un misto di curiosità e timidezza. Quando i nostri occhi s’incontrarono per un fuggevole istante, capii che non saresti stato una semplice comparsa nella mia vita, ma molto di più. Mi persi immediatamente nel blu profondo del tuo sguardo, nella tua espressione seria e distinta mentre mi passavi accanto e ti amai, credo, da subito.
Il giorno dopo, nemmeno a dirlo, mi recai al tuo studio accompagnata da mia cugina Adele, con la banale scusa di una caviglia distorta, ovviamente una delicata menzogna! Oh, il tuo sorriso era stato più che eloquente; che vergogna e che rossore sulle mie guance, quando mi resi conto che non avevi creduto ad una sola parola del mio racconto per il quale mi ero prodigata con tanta enfasi, descrivendo un’inesistente caduta dalle scale di casa!
La domenica seguente, appena fuori dalla chiesa dopo la Santa Messa, ti avvicinasti per salutarmi e il mio cuore ebbe un sobbalzo dolcissimo, mentre ti portavi la mia mano alle labbra e mio padre ti osservava severamente da sotto la tesa del cappello. La sua unica figliola per la prima volta era avvicinata da un giovane, da un personaggio di spicco del paese, un “foresto” arrivato da poco e guardato da tutti con un misto di ammirazione e diffidenza.
Ero la figlia del sindaco di Querci, paesino non molto distante da Grosseto, ero Emma “la maestra”.
Erano gli anni del Dopoguerra e la carestia si faceva sentire più che mai; eravamo gli abitanti di un posto piccolo e sperduto nel mezzo della Maremma, dove i butteri cavalcavano come Buffalo Bill e l’allevamento di bovini era l’attività madre del luogo.
Papà era un allevatore, ma sapeva riparare anche trattori e trebbiatrici e la mamma si occupava del focolare domestico, cara donna; conosciuto e benvoluto da tutti, era stato eletto alla carica massima del paese nonostante sapesse appena leggere e scrivere. Era un uomo che sapeva parlare alla gente guardandola dritto negli occhi, schietto e sincero, credente e dalla parte del popolo.
Aveva voluto che io studiassi e non finissi a fare la sartina o la pettinatrice, non voleva che sua figlia rimanesse preda dell’ignoranza…non avresti futuro, diceva; avevo quindi trascorso quattro anni presso una zia nubile a Firenze, dove avevo frequentato con profitto l’Istituto Magistrale. A diciassette anni ero una giovane insegnante, che era tornata di corsa al suo paese per crescere i bambini di una nuova generazione, i figli di quella guerra maledetta che aveva inginocchiato l’Italia, un paese che aveva abbracciato la malaugurata idea di allearsi con Mussolini e si era ritrovato spogliato da tutto, povero ed affamato. Eravamo stati “puniti” dai vincitori per i nostri continui ripensamenti e per i ritardi verificatisi prima di collaborare con le democrazie occidentali. Solo intorno al 1948 si accettarono finalmente gli aiuti finanziari legati al Piano Marshall degli americani e si escluse dal governo il Partito Comunista Italiano nonostante avesse contribuito al Comitato di Liberazione nazionale; nessuno quella volta avrebbe mai pensato che la Democrazia Cristiana avrebbe governato per quasi cinquant'anni!
Quando ti trovai un pomeriggio sotto casa ad attendermi, capii che era giunto il momento tanto agognato; i tuoi occhi parlarono senza voce, non vi era bisogno di parole, non in quel momento magico. Quel bacio appassionato, rubato nel portone di casa, stretta a te in un abbraccio senza fine mentre con ardore esploravi la mia bocca virginale mi catapultò in un mondo di colori, passione e speranza. Ci sposammo sei mesi più avanti, nel tardo pomeriggio di una domenica di primavera, mentre il vento faceva turbinare nell’aria i petali dei pruni e dei mandorli in fiore, sommersi dagli applausi di tutto il paese che si era riunito sul sagrato della chiesa per renderci omaggio in un momento così bello. Che giorno di gioia immensa! Mi guardavi, colmo d’amore mentre io, con l’abito da sposa un poco attempato, che era stato di mia madre, orgogliosa come una regina mi sentivo padrona del tuo cuore.
Quanti anni sono passati, mio caro…quanto amore, felicità ed anche immenso dolore, ma mai nessun rimpianto.
Certo non è stata una passeggiata in piano, la nostra vita…
Il mio cuore si frantuma ancora in mille pezzi al ricordo di Agnese, la nostra bambina, la primogenita, che ci abbandonò a soli due anni in una notte d’agosto, preda di un male oscuro ed incurabile, mentre ti struggevi per cercare una soluzione che non esisteva. Il Signore, nella sua estrema generosità, ci mandò altri due figli, Michele e Chiara, che oggi vivono felici e ci hanno donato meravigliosi nipotini.
E gli anni trascorsi a Firenze, oh sì, quando tu vincesti il sospirato e tanto atteso concorso all’ospedale civile; diventasti col tempo un medico molto rispettato del reparto di pneumologia, ma che fatica, quante notti insonni, quanto amaro ingoiato mentre io continuavo a perseverare nella mia passione, l’insegnamento in una scuola elementare del centro. Ed alla fine, la tua pensione ed il ritorno a Querci, al nostro podere, alla nostra tranquillità quotidiana, immersi nella pace e nel verde di queste dolci colline. Fu allora che acquistammo i cavalli, per le nostre passeggiate attraverso la Maremma, col sole che illuminava il nostro cammino ed i nostri sguardi che ancora brillavano d’amore immenso.
Mai nemmeno per una volta ho avuto ripensamenti sulla vita trascorsa con te; è stata la scelta migliore della mia vita e ringrazio Dio ogni giorno per avermi permesso di essere su quel marciapiede ferroviario quel giorno di tanti anni fa…
Adesso, che sono solo una povera vecchia dai capelli bianchi e dai troppi anni, curva sulla schiena ed infreddolita, adesso che nella stalla Rigel ed Antares non ci sono più, adesso mi sento davvero sola, Leonardo…
Volgo lo sguardo verso la nostra stanza da letto, quella stanza che ha sentito sospiri adoranti e gemiti di piacere, urla strazianti e lacrime cocenti… e ti guardo, addormentato nel sonno eterno; non capivo stamane come mai non ti fossi ancora alzato e quando sono venuta a vedere come mai fossi a letto, ti ho visto…Sembrava dormissi placidamente, ma ti conosco troppo bene e sapevo che non era così…
Ieri sera mi avevi detto di sentirti particolarmente affaticato, di avere qualche fitta al torace; sapevamo entrambi dei tuoi problemi di cuore che stavi curando già da molti anni ma ahimè, amore mio, la vecchia locomotiva era stanca, tanto stanca…
Ho pianto tutte le mie lacrime questa mattina, mentre ti vestivo e ti rendevo bello come eri sempre stato. Ho pettinato con dolcezza i tuoi candidi capelli e con amore immenso ti ho messo il vestito più elegante mentre mi perdevo nei ricordi, mentre ripensavo ad una vita intera trascorsa insieme a te.
I nostri figli stanno arrivando, saranno qui prestissimo; domani mattina ti accompagneremo, stretti nel nostro dolore, nel tuo ultimo viaggio. Ci saranno tutti quelli del vecchio paese, i figli ed i nipoti di coloro che hai aiutato, il sindaco e le autorità di Querci.
So già che sei insieme alla nostra dolce bambina e che la stai tenendo in braccio come facevi allora e, guardando questo inverno dalla finestra, il mio desiderio più grande è poterti raggiungere al più presto; so che mi aspetterai in sella a Rigel, su un verde prato coperto da fiori selvatici, sorridente e sfrontato come sei sempre stato ed io verrò cavalcando Antares a briglia sciolta, lasciando liberi i miei capelli come facevo allora, danzanti nella tiepida brezza e rischiarati dal sole mattutino.
So che ci sarai, amore mio, so che ci sarai…
Ed adesso il commento della carissima e bravissima Barbara Risoli
L'opinione
Il racconto di SIMONA LIUBICICH
RICORDO DI UN AMORE
- Rubrica Ingranaggi e passaggi -
- Il racconto dell'esordiente -
- pag. 89 -
Mi ha colpita. Questo racconto obbligatoriamente breve, mi ha davvero colpita e mi ha strappato un magoncino in gola. Brava questa esordiente d'assalto che ha avuto l'arduo compito di aprire la rubrica dedicata agli scrittori (o meglio, alle scrittrici) in erba. Erba già alta quella della LIUBICICH che gestisce bene lo spazio limitato, per una volta posso affermare che la brevità del racconto non penalizza la stroria e tanto meno il messaggio. Sono ricordi quelli descritti con una vena tragica eppure colma di speranza, è il passato che aleggia e permea tutte le righe di questa autrice. La tematica è malinconica, nostalgica, triste; il finale, pur nella tragicità degli eventi colma di una speranza che consola, che fa riflettere e che commuove. Bellissime le immagini descritte, le metafore finali. Decisamente un buon biglietto da visita per questa rubrica da seguire, dedicata appunto a chi non è conosciutissimo, ma che ha buone chances per farsi strada nell'intricato mondo dell'editoria. A mio avviso, dopo avere letto questa pillola di Simona, è intrinseco che sorga il desiderio di leggere qualcos'altro di lei e allora diciamolo che è autrice del libro SFUMATURE DEL DESERTO edito da Giammarò, ma diciamo anche che per leggere il racconto oggetto di questa opinione necessita l'acquisto della rivista e... ne vale la pena, parola di chi ce l'ha in mano, in questo momento. Buona lettura!
Nessun commento:
Posta un commento