venerdì 2 settembre 2011

CONFESSIONI DONNA

Il mondo delle donne, dei loro sentimenti così forti, a volte manifesti, altre volte sopiti, racchiusi in un cuore che batte per amore...
I miei racconti su Confessioni, piccole parentesi di vita quotidiana, racchiusa nel nostro mondo, così reale, crudo ma maledettamente pieno d'amore...


 


“Ritorno alla vita”
Questo racconto è stato commentato dalla Dott.ssa Angela Oreggia, psicoterapeuta adulti ed età evolutiva e psicotraumatologa.
Quella mattina di agosto, non ricordo precisamente per quale motivo, decisi di prendere la metropolitana prima del solito. Mi stavo recando al lavoro, come ogni giorno; erano appena le sette e a Milano faceva già un caldo eccessivo. Mentre scendevo le scale della stazione di Porta Romana, fui investita da una canicola proveniente dalle gallerie, densa, afosa e irrespirabile. C’era già parecchio movimento nei tunnel, anche se il mese richiamava al pensiero sole, mare e vacanze; la storia di Milano che si svuota ad agosto, ormai la consideravo una leggenda urbana. La crisi si faceva sentire già da qualche tempo in tutta la Penisola; molte famiglie avevano deciso di rinviare il discorso vacanziero al mese di settembre, quando la stagione è bassa e i prezzi delle zone turistiche scendono a livelli più accettabili.
Io, come molti altri, avevo scelto di trascorrere il mese immersa nel lavoro. Non m’interessava per niente andare in ferie e per la verità da molto non m’interessava più nulla della vita… A quel pensiero deprimente la mia mente balzò indietro di circa due anni, alle origini della mia attuale apatia, quando la mia vita, tanto felice ed equilibrata, era sprofondata di colpo all’inferno.
Quella spaventosa notte di marzo, il telefono mi aveva svegliato di soprassalto da un sonno agitato, pervaso da incubi. Stavo sognando di precipitare in una voragine senza fondo, dove mani dalle dita adunche che sbucavano all’improvviso dal terreno umido, cercavano di carpirmi, mentre io disperatamente tentavo di risalire verso la luce, sempre più lontana. Spalancai gli occhi e allungai il braccio verso il cordless posto sul comodino, rispondendo con voce da acheronte; erano le tre e mezzo del mattino. Chi diavolo poteva essere a quell’ora? Le poche parole dall’altra parte dell’apparecchio, pronunciate con un tono di assoluto distacco, mi congelarono il sangue nelle vene. Mi svegliai del tutto, con addosso un panico incontrollato; mai nella vita avevo provato un terrore del genere, sino a quel momento. Il mio cervello rifiutava di metabolizzare ciò che mi era stato appena riferito ma meccanicamente ero già saltata giù dal letto in uno stato di tralice, cercando al buio sulla poltrona, i vestiti che vi avevo appoggiato sopra la sera precedente. Dovevo recarmi immediatamente all’aeroporto; che cosa mi avevano detto? Il volo di mio marito aveva avuto dei problemi? Michele stava rientrando da un viaggio d’affari in India; sarebbe dovuto atterrare alla Malpensa la mattina ed essere a casa per l’ora di pranzo. Disgraziatamente lui non ritornò mai più a casa; il velivolo sul quale stava viaggiando era precipitato in seguito ad un’avaria elettronica, schiantandosi nel Mar Nero. Nessun superstite.
Per mesi ero stata preda di uno stato di shock profondo; non rispondevo più al telefono, non uscivo da casa e passavo il tempo sprofondata nei ricordi e nell’alcol. Ebbene sì, proprio nell’alcol; la vodka mi regalava forza, mi faceva dimenticare l’orrore che mi circondava. La mia “amica” mi aiutava ad abbracciare l’oblio, dove volevo restare, inesorabilmente sola. Avevo perso tutti i miei amici, e la colpa era solo mia. Li avevo allontanati sempre di più, rifiutando tutte le offerte di aiuto che per lungo tempo e con tanto affetto mi avevano offerto, trattandoli con diniego, sino a quando si erano seccati di farsi insultare da me. Non mi accorgevo più dei giorni che passavano, del tempo che scorreva inesorabile; non m’importava un accidente se fuori pioveva, nevicava o c’era il sole. La luce dentro di me era morta quel 15 marzo del 2008, quando Michele mi aveva lasciato per sempre. Lo avevo anche odiato, oh sì; avevo spaccato tutto un giorno a casa, preda di una follia assurda, bestemmiando per averlo conosciuto, maledicendo Dio se mai esisteva, per avermelo fatto incontrare. Non avevo nemmeno avuto la possibilità di rivederlo un’ultima volta, di poter abbracciare il suo corpo per dirgli addio. Era intervenuta la polizia, chiamata dai vicini che avevano udito preoccupati, gli schianti e le urla disperate. Da lì era incominciata la lenta risalita verso la luce; le cure farmacologiche, l’anonima alcolisti, il neuropsichiatra e lo psicologo. Ne ero uscita viva ma a pezzi, da un centro di riabilitazione toscano. Appena rientrata a Milano, avevo traslocato; non potevo più restare là, dove Michele aleggiava in ogni angolo, dove il suo passaggio era ancora così vivido. Avevo perso il lavoro durante i mesi di “oscurità”; le mie ripetute assenze, non giustificate dalla mutua, avevano esaurito la pazienza del mio direttore, costringendolo a licenziarmi. Ora ero impiegata presso una grande azienda farmaceutica di Gallarate, negli uffici esteri. Ritmi regolari, la sera a casa e nessun tipo di svago. Non bevevo più ma non volevo ricominciare a vivere, non m’interessava ed ero convinta che se lo avessi fatto, avrei commesso un torto nei confronti di Michele: ridere e divertirsi erano cose vergognose, mi dicevo, mentre lui era sepolto in un freddo e umido cimitero. Ero stata sposata con mio marito per due anni, dopo ben dieci di fidanzamento. C’eravamo conosciuti sui banchi del liceo, avevamo frequentato la stessa università, condividevamo gli stessi scopi e gli stessi ideali nella vita. Cosa mi restava adesso, senza di lui? Mi sentivo solamente un guscio vuoto.
Il rumore assordante della metropolitana in arrivo mi riportò bruscamente al presente. La massa umana in movimento mi spingeva verso le porte che si erano appena spalancate. Ci riversammo tutti dentro il treno sotterraneo, come bestie stipate in un carro merci; sudati, ansanti, molti di noi già con gli sguardi stanchi. Quando, all’improvviso, mi scivolò la borsetta a terra, provai un senso di rabbia e sgomento. Ci stavano camminando tutti sopra, senza curarsi di nulla; come automi senza cervello proprio, non guardavano nemmeno dove mettevano i piedi. Dentro c’erano i miei occhiali da vista, accidenti! Sporgendomi in avanti, cercai di afferrarla per il manico, ma la folla continuava ad avanzare, senza accennare a fermarsi. Mi resi conto all’improvviso che stavo per cadere, avevo perso l’equilibrio nell’allungarmi verso la mia tracolla…Oddio, avrebbero travolto anche me, pensai preoccupata. Ma due braccia robuste mi afferrarono, riportandomi in posizione eretta. Mi voltai, trafelata e un poco spaventata, e mi ritrovai davanti agli occhi più belli che avessi mai visto. Lui era alto, distinto, sorrideva e teneva in mano la mia borsetta di pelle. Lo guardavo con un’espressione disorientata, come se vedessi un uomo per la prima volta, ma era talmente affascinante che mi vergognai dei miei pensieri, sentendomi immediatamente gravata da un’enorme senso di colpa. Portava i capelli tagliati corti, tra il castano e il biondo, un colore che mi faceva pensare al caramello. Gli occhi erano espressivi, leggermente obliqui e con le sfumature dell’oceano, blu e azzurro. Possedeva spalle ampie e corporatura atletica, un vestito scuro dal taglio impeccabile e mi sorrideva un poco sfrontato. Sapevo di essere sempre stata una bella ragazza, anche se negli ultimi tempi non mi ero curata per nulla del mio aspetto esteriore, limitandomi esclusivamente a lavarmi e vestirmi decentemente, come si richiedeva in un ufficio. Non sapevo più cosa fosse un prodotto da trucco e i miei capelli erano ritornati del loro colore naturale, castano ramato, lunghi e pari, visto che mancavo da un parrucchiere da ben due anni. Erano lucidi e corposi, forse più belli di quando li rinforzavo con le mèches. Ero diventata magra, forse troppo; il mio fisico aveva perso qualsiasi rotondità e sembravo un manichino. Eppure lui mi guardava con interesse, glielo leggevo negli occhi. Lo paragonai immediatamente a Michele; erano diversi come il giorno e la notte, due lati opposti di una medaglia. Mio marito era sempre stato un ragazzo schivo e timido, refrattario a qualsiasi tipo di attività fisica. L’uomo dinanzi a me sembrava uscito da una rivista sportiva, muscoloso e abbronzato. Mi porse la borsa; tremando lievemente la presi dalle sue mani e lo ringraziai, tenendo gli occhi bassi. Temetti in quel momento di avere un attacco di panico. Mi rispose in inglese, con una voce profonda e suadente. Cosa mi stava succedendo? Sembrava che i miei ormoni avessero deciso di funzionare di colpo e contro la mia stessa volontà. Parlavo perfettamente la sua lingua e mi ritrovai senza nemmeno accorgermene a conversare con quello straniero che disse di chiamarsi Owen e di trovarsi a Milano per un aggiornamento di lavoro; era un ingegnere biomedico statunitense. Viveva a New York, mi riferì. Nonostante la conversazione gradevole, il tragitto verso Gallarate terminò molto presto, ed io in verità ne fui sollevata; volevo scappare da quella situazione, i miei sensi sembravano impazziti e non volevo assolutamente cadere preda di una sciocca tentazione. Salutai garbatamente Owen, e più veloce che potevo, uscii dalla metro. Presi il tram sino alla fermata più vicina alla fabbrica e raggiunsi a piedi il mio ufficio.
Mi dedicai tutta la mattina alle pratiche commerciali con i paesi della Comunità, immersa nel lavoro, cercando di non pensare a quel sorriso e quegli occhi penetranti. Maledizione a me e alla voglia che avevo avuto di uscire prima da casa quella mattina!
All’ora di pranzo, Anna, la mia collega, mi chiese se la volessi accompagnare in mensa.
-          Allora hai deciso? Non vuoi proprio venire a mangiare una pizza domani sera? - mi domandò mentre sedevamo a un tavolo nella grande e affollata sala ristorante.
-          No, ti ringrazio Anna! Sei gentile a chiedermelo ma…non mi va! -
-          Elisa, non puoi continuare così! So che fa male, ma sono passati due anni! Stai morendo anche tu, lentamente! Lui non vorrebbe vederti ridotta così…
La guardai con affetto e decisi di raccontarle ciò che mi era successo quella mattina. Eravamo diventate amiche da quando ero approdata all’azienda; Anna mi era stata molto vicino ed io avevo bisogno di una spalla su cui piangere, di tanto in tanto, di un conforto nel mio mare di disperazione. Le volevo sinceramente bene. Fu felice di sentirmi raccontare quella breve parentesi; disse che il mio corpo si stava rivoltando all’apatia in cui io stessa lo avevo costretto e che era ora di alzare la testa e ricominciare a camminare per la mia strada, con le mie gambe. Scossi la testa, per niente convinta di quelle parole di incoraggiamento; ero terrorizzata dalla vita. E mentre ripensavo a quel tragitto in metro, vidi Anna dinanzi a me spalancare di colpo gli occhi. Qualcuno mi toccò lievemente la spalla. Mi voltai per vedere chi fosse e…rimasi attonita: Owen era in piedi dinanzi a me, sorridente e bello come un raggio di sole.
-          Cosa ci fai qui? – gli chiesi.
-          Il meeting di cui ti avevo parlato stamane! Si svolge in quest’azienda e… non pensavo davvero di ritrovarti, Elisa! Sei fuggita via come il vento! -
Sorrisi, questa volta apertamente; rivederlo mi aprì un’improvvisa breccia nel cuore. Qualcosa di forte mi stava attanagliando lo stomaco, ma non era paura, non era panico. Era una sensazione sopita da parecchio, da troppo tempo; un calore che spingeva dall’interno del mio corpo, che scioglieva il ghiaccio in cui avevo deciso di rinchiudermi. Elisa voleva uscire; la vera essenza di me non voleva più stare imprigionata in quello sterile e rinsecchito involucro. Mi accorsi che il cuore batteva, per la prima volta dopo anni, forte e vigoroso. Guardai Owen con occhi diversi, come una donna dovrebbe guardare un uomo; quello sguardo azzurro mi faceva sentire bene e lo invitai a sedersi con noi per il pranzo. Il suo convegno sarebbe riiniziato non prima di un’ora e nel periodo relativamente breve che trascorremmo insieme, mi sentii diversa, come non mi accadeva da molto tempo. Prima che rientrassi nel mio ufficio a terzo piano, Owen disse che voleva rivedermi. Perché no? Pensai che, in fin dei conti, ero una donna adulta e da troppo tempo non stavo con un uomo. Avevo paura, tanta paura di mettere fuori il naso dal mondo virtuale che avevo creato su misura, ma la voglia di stare con lui ebbe la meglio ed accettai l’appuntamento.
Quella notte feci l’amore con Owen a casa mia, piangendo tra le sue braccia, confessandogli tutto il dolore che avevo dentro, il peso che mi aveva schiacciato per tutto quel tempo. Lui mi cullò come avrebbe fatto con una bambina, tenendomi stretta tra le sue braccia, consolandomi e amandomi con una passione che avevo ormai dimenticato. La mattina, quando lui lasciò il mio appartamento, una sensazione di abbandono mi strinse il petto in una morsa, ma lo lasciai andare sorridendo. Non potevo aspettarmi nulla da un’avventura di poco conto, mi dissi, ma ancora non sapevo che quella notte avrebbe segnato la mia vita per sempre…
Sono passati tre anni.
Mi affaccio alla finestra; è mattina. L’aria gelida mi colpisce il viso con una sferzata degna di una frusta. Fa davvero molto freddo. Il cielo è plumbeo, denso di nubi violacee; penso che anticipi una nevicata massiccia nel pomeriggio. Chiudo le imposte e mi volto, sorridente. Owen mi osserva, avvolto nel candido piumone del nostro letto, un sorriso seducente sulle labbra. Come fa a desiderarmi ancora, con quest’aspetto? Sembro una mongolfiera, ormai all’ottavo mese di gravidanza.
I primi fiocchi di neve iniziano a scendere su New York, ma io, accoccolata di nuovo tra le sue braccia, ormai non ho più freddo.


"Il colore della passione"
Finalmente mi ero lasciata alle spalle l’aria torrida, l’odore d’asfalto e lo smog di Milano.  Mentre percorrevo l’autostrada in direzione della Versilia, pregustavo i miei sospirati quindici giorni di ferie. Luglio era il mese ideale per trascorrere qualche giorno al mare; la cittadina era ancora lontana dalla calca di agosto che si riversava ovunque sul litorale. Possedevo una casa a Forte dei Marmi ereditata dalla mia nonna materna; un bilocale con tutte le comodità e situato proprio di fronte all’amena passeggiata. Amavo spalancare le persiane alle prime luci dell’alba per respirare l’aria salmastra e immergere lo sguardo in quella distesa blu che si confondeva tra cielo e mare, quando per strada non si scorgeva ancora anima viva all’infuori dei bagnini negli stabilimenti, che di buon ora iniziavano a  tirare la sabbia con i grandi rastrelli sulle lunghe spiagge.  Avevo trascorso la mia infanzia e l’adolescenza su quelle battigie, ascoltando ai juke box i tormentoni estivi sino alla noia e facendo le ore piccole nelle discoteche che si susseguivano lungo la passeggiata a mare. Poi ero cresciuta e avevo iniziato a disdegnare Forte,  presa dalle vacanze con gli amici in costa Smeralda e a Panarea. Erano giunti i tempi dell’università e durante l’ultimo anno di economia mi ero fidanzata con Luca …
Il tasto dolente tornò a fare male nel mio petto all’improvviso, una ferita che ancora non si era rimarginata del tutto. La nostra storia era finita da qualche mese, nel peggiore dei modi; era da qualche tempo che lo notavo distratto, poco interessato a noi. Gli avevo domandato più volte cosa stesse accadendo, se ci fossero problemi nel nostro ménage, ma lui rispondeva in modo evasivo ed io, sciocca, non ero andata mai a fondo alla faccenda, molto probabilmente per vigliaccheria. Tendevo a svicolare, a pensare che tutto prima o poi sarebbe andato a posto. Purtroppo una mattina, mentre mi trovavo in Corso Vittorio Emanuele, lo avevo colto in flagrante in un bar insieme ad una sua collega, una stagista fresca di laurea, mano nella mano mentre sorseggiavano un aperitivo prima di pranzo, come due tortrorelle in amore. Ero rimasta impietrita ma non mi ero fatta vedere, non gli avrei dato la soddisfazione di vedermi piangere a causa sua; dopo tre anni di convivenza, l’uomo col quale avevo creduto di trascorrere il resto della mia vita e col quale avrei desiderato avere dei figli, mi stava spudoratamente tradendo con un’altra donna. Lo avevo affrontato a casa, la sera stessa, e lui non aveva neppure tentato di negare il fatto.
“ Sono stanco, Susanna, da molto tempo questa vita piatta mi sta deprimendo, giorno dopo giorno. Voglio di più, desidero divertirmi, uscire, andare a ballare e provare di nuovo quel brivido ormai perduto. Tu non mi dai più tutto questo! La sera sei sempre stanca, guardi i programmi in tv e vai a dormire prestissimo e mi dispiace dirtelo in questo modo, ma questa vita non fa per me! Non avevo intenzione di tradirti ma le cose mi sono precipitate addosso quasi senza accorgermene! Mi sento attratto da Pamela, non so se è amore, ma lei mi fa sentire di nuovo vivo, libero…Mi dispiace moltissimo, Susanna, ma non me la sento più di continuare la nostra relazione!”
Era invaghito di Pamela e me lo diceva così, come se nulla fosse! Certo, lei era giovane, solare, spregiudicata e in caccia di un’opportunità di carriera che Luca poteva certamente fornirle…Lo odiai per aver aspettato tutto questo tempo e dirmi che tra noi non andava più, specialmente dopo tutte le volte che io gli avevo rivolto delle domande esplicite sulla nostra situazione. Odiai anche me stessa, stupida e cieca; non ero stata capace o non avevo voluto vedere qual era la verità. Me ne andai da casa quella sera stessa, gettando alla rinfusa poche cose in una valigia; in fin dei conti l’appartamento era di Luca ed io non volevo più avere a che fare con nulla che gli appartenesse, non facevo più parte della sua vita. Mi trasferii per qualche settimana dai miei, per leccarmi le ferite in pace e cercare un appartamento nuovo che trovai presto a Rho. Dovevo ricominciare senza di lui, una vita nuova, sola…
Il cartello con scritto “Versilia” mi allargò il cuore; ero arrivata e il giorno seguente sarei stata comodamente sdraiata su un lettino facendomi arrostire dai raggi solari…Teresa, la domestica che lavorava per la mia vicina di casa e che possedeva una copia delle chiavi dell’appartamento aveva, dietro mia richiesta, dato una ripulita alla casa, che trovai lucida e profumata e con lenzuola fresche di bucato. Sprofondai presto in un sonno senza sogni, cullata dal rumore delle onde che s’infrangevano sulla battigia…
La mattina seguente, finalmente…sandali con zeppa, pareo e borsa di paglia con tutto il necessario per una giornata all’insegna dell’ozio! Il sole brillava alto, il cielo era terso, privo di nuvole; si annunciava un periodo rilassante o perlomeno desideravo con tutta me stessa sperare fosse così. Attraversai la strada con un cappello di cotone bianco a tesa larga e occhialoni scuri stile Jackie, dirigendomi all’ingresso dei “Bagni Sirenusa”, dove fui subito accolta con affetto dai proprietari che gestivano i bagni sin dai tempi in cui trascorrevo le estati presso nonna Alice.
“ Signorina Susanna, ma che piacere rivederla! Quanto tempo è passato? Che fine avevate fatto? Era così triste vedere sempre quelle finestre tutte chiuse! Stamane, quando ho notato che tutto era spalancato mi si è allargato il cuore!” esclamò gioviale la signora Bice, cuoca del ristorante dei bagni.
“ Cara Bice, troppi impegni e decisioni prese all’ultimo momento! Ma adesso sono qui e intendo trascorrere due settimane di assoluto riposo e ingozzarmi della sua ottima cucina!” risposi sorridendo. Bice rovesciò la testa all’indietro in una grassa risata: “Allora la accontenterò molto volentieri! Il suo gazebo è pronto, tra poco passerà un cameriere per vedere se gradisce un aperitivo!”
“Eccome se lo gradisco!” ribattei sorridendo mentre mi avviavo lungo la bianca passerella di legno che conduceva verso il mare. Sistemai subito il lettino rivolto verso il sole mattutino, mi cosparsi la pelle di crema super protettiva e mi allungai come un gatto al sole. Il calore penetrò subito all’interno del mio corpo, sciogliendomi tutte le tensioni accumulate e regalandomi quella fiacchezza che temetti, mi avrebbe fatto addormentare quasi subito. Avevo indossato un bikini color aragosta molto sexy, potevo permettermelo; a ventotto anni ero in forma smagliante, forse merito anche dei chili persi dopo la rottura con il mio ex. Mi guardai attorno incuriosita; la Versilia attirava ogni sorta di turista: famiglie, coppie e single. Dovevo ammettere con me stessa che il mio sguardo era alla ricerca di esemplari maschili; stavo iniziando a pensare di avere voglia di un’avventura estiva, un flirt innocente. Lo dovevo al mio cuore frantumato e all’orgoglio calpestato. “Niente impegni, solo divertimento!” mi dissi ma non vidi in giro in quel momento nessuno degno di nota. Riabbassai la testa sul lettino e finalmente mi appisolai…
Fui svegliata di soprassalto da schiamazzi quasi fastidiosi; ancora frastornata, voltai lo sguardo verso il gazebo adiacente al mio e vidi un gruppo di ragazzi che si stavano sistemando sui lettini; erano giovani, sorridenti e… tutti splendidi! Forse fotomodelli giunti a Forte per qualche pubblicità? Quattro ragazzi italiani e un afro americano che mi colpì per la perfezione statuaria del fisico; sembrava fosse stato scolpito nell’ebano, i muscoli guizzavano sotto la pelle brunita e quando voltò lo sguardo verso di me, i suoi occhi di giaietto mi colpirono come una frustata. Mi ritrovai a fissarlo come una liceale e quando lui mi sorrise, con quella dentatura candida e perfetta, dovetti voltare lo sguardo di colpo per non far notare il rossore che aveva imporporato le mie guance. Rimasi girata per un po’ ma presto dovetti riportare il collo in una postura corretta per evitare un attacco di cervicale; feci finta di nulla e mi misi seduta, spruzzandomi con nonchalance l’acqua termale sul viso e sul decolleté.
Non passò molto che vidi giungere verso di noi il cameriere del bar con un grosso vassoio; il mio aperitivo! Mi ero addormentata e lo avevo dimenticato. Beh, lo avrei ordinato subito, ormai erano le undici! Il ragazzo si fermò al gazebo del gruppo appena giunto, poggiando sul tavolino i cocktail che erano stati ordinati. Gli feci un cenno con la mano e lui s’incamminò verso di me. Stavo per ordinare il mio aperitivo quando, all’improvviso, dietro di lui spuntò proprio quel ragazzo che avevo notato poco prima. In mano sorreggeva due bicchieri con un liquido fresco e colorato all’interno.
-          Posso avere il piacere di offrirti qualcosa da bere?    - pronunciò con voce sensuale mentre percorreva tutto il mio corpo con uno sguardo languido e misurato.
Povera me, adesso che gli rispondo? Pensai per un attimo mentre i sensi prendevano il sopravvento sulla logica.
-          Grazie, volentieri! Siediti! – Gli dissi indicando la sedia da regista di fianco il mio lettino mentre lui mi porgeva il bicchiere di Bellini. Ammirai immediatamente gli addominali scolpiti, quei capelli cortissimi ricciuti e neri ed il contrasto tra la sua pelle ed il bianco del tessuto della sedia.
-          Ti piace il Bellini? Se preparato bene, con le pesche fresche è superlativo!  - disse in un italiano perfetto. Allora non era straniero!
-          Mi chiamo Matteo Fossombrosa!       -
-          Susanna Perfetti!- gli risposi sorridendo. Fossombrosa…che bellissimo cognome, pensai.
-          Strano vero, il mio cognome italiano? Sono stato adottato che avevo appena un anno! Ti ho notata immediatamente appena siamo arrivati in spiaggia; ieri non c’eri!    
-          Esatto, sono arrivata da Milano solo ieri pomeriggio e devo dire che essermi lasciata alle spalle il frastuono della città mi sta facendo solo bene!                       -
-          Hai proprio ragione, Susanna! Io vivo sul lago di Como, a Cernobbio!        -
-          Oh, ci sono stata una volta, è un posto davvero incantevole!                        -
-          Sì, lo è davvero! Lavoro a Como, possiedo un’agenzia pubblicitaria! Siamo qui a Forte per girare uno spot di una famosa marca di costumi da mare da uomo!       -
-          Avevo ammirato i ragazzi, in effetti! Posi anche tu?  -
-          Oh no, per carità! Stare davanti alle macchine fotografiche non fa per me! Io mi occupo di mediare i rapporti tra il committente del lavoro e l’agenzia di moda di Milano!
Eppure saresti stato fantastico…pensai. Che mi stava succedendo? Avevo appena conosciuto quel ragazzo e non era da me avere certi pensieri così…lussuriosi. Matteo aveva un qualcosa che mi faceva frullare lo stomaco e battere forte il cuore. Allora non ero diventata completamente di pietra!
-          E tu, come mai qui a Forte?    - mi chiese.
-          Possiedo una casa proprio laggiù, di là della strada. Era della mia nonna materna ed era molto tempo che non venivo qui…   - dissi, non con una punta di nostalgia che Matteo notò immediatamente.
-          Problemi di cuore, vero?        -
Lo guardai sgranando gli occhi; il ragazzo era perspicace e forse un po’ invadente ma la cosa mi fece sorridere.
-          Già…Una storia finita da qualche mese! –
-          Sai, quando sono arrivato non ho potuto fare a meno di osservarti! Mi sembrava impossibile che una donna bella come te potesse stare qui tutta sola su questa splendida spiaggia!         -
-          Perché no? Ci sono moltissime single felici a questo mondo!-
-          Certamente, ma qualcosa nei tuoi profondi occhi blu mi dice che non ami la solitudine, sbaglio?-
In quel momento arrossii notevolmente e per cercare di darmi un contegno, sorseggiai, apparentemente indifferente, il cocktail che avevo in mano.
-          Anch’io sto uscendo da una storia sbagliata, sai? – disse.
-          Davvero?        -
-          Già…Henriette, una modella svedese che avevo conosciuto l’anno scorso al Momi! Mi trovavo lì per lavoro e l’ho vista sulla passerella, affascinante, bellissima. Ho fatto di tutto per incontrarla e conoscerla e per un po’ siamo stati insieme. Ma lei non aveva preso sul serio il nostro rapporto così come avevo fatto io. Dopo un po’ si è stancata e semplicemente una mattina è uscita da casa e non è più tornata, così, senza darmi alcuna spiegazione! Ci sono stato male per un po’, poi mi sono detto che probabilmente era meglio così!             -
-          Beh, non c’è che dire, siamo due vittime dell’amore! Il mio ex, dopo tre anni di convivenza mi ha lasciato per un’altra, anche lui senza grosse spiegazioni!  -
-          Mi chiedo come abbia potuto abbandonarti…           -
-          Oh, non sono così perfetta come sembra!      - sorrisi.
Si era avvicinato a me e ora il suo viso era talmente vicino al mio che sarebbe bastato un nulla perché le nostre labbra si toccassero. Mi allontanai in un impeto di pudore; l’avventura poteva andare bene, ma così mi sembrava davvero di forzare un po’ troppo i tempi.
-          Vorrei invitarti a cena questa stasera! Mi concederesti quest’onore, Susanna?         -
Ecco, me lo aveva chiesto e aveva messo le carte in tavola. Ci pensai solo per una frazione di secondo, Matteo mi piaceva e non c’erano scuse da addurre.
-          Sì, verrò volentieri con te a cena!       -
-          Fantastico, passerò a prenderti stasera alle nove!       - E mi baciò la mano come un uomo d’altri tempi prima di allontanarsi. Inutile dire che mi sentivo eccitata come una scolaretta!
Trascorsi il resto della giornata con una punta di ansia addosso; la sera, dopo una doccia rinfrescante, indossai un tubino color azzurro pervinca e lasciai i miei capelli biondi sciolti sulle spalle, mettendo solo un filo di trucco agli occhi. Quando il campanello suonò, scesi le scale un po’ tremante. Aprii il portone… lui stava li, dinanzi a me, bellissimo, con un completo nero che esaltava i suoi colori naturali.
-          Ciao!   -
-          Ciao!   - risposi imbarazzata. Cenammo in un minuscolo ristorante sul mare, intimo e romantico ed inutile dire che, da quella sera, trascorsi con Matteo i quindici giorni più belli dei miei ultimi anni perché lui si fermò a Forte anche dopo che il suo lavoro fu terminato. Facemmo l’amore ovunque, nascosti sulla spiaggia la notte, a casa mia e nel suo albergo. Ma l’ultimo giorno ero conscia di dovergli dire addio. Eravamo ancora sulla spiaggia, all’imbrunire.
-          Tu lo sai che domani finirà tutto, vero? Io torno a Milano e tu a Como, alle nostre vite!      - dissi mestamente, ma dovevo essere obiettiva.
-          Lo so, Susanna! Mi mancherai!          -
Ci salutammo con un bacio disperato e quella notte, inevitabilmente, piansi tutte le mie lacrime.
Ero tornata al lavoro; la solita routine, l’ufficio e gli inevitabili grattacapi quotidiani. Era agosto e a Milano faceva un caldo infernale. Scesi le scale del palazzo, dove lavoravo, di corsa; avevo voglia di tornare a casa e gettarmi sotto una doccia fresca.  Ma appena uscii dal portone andai a sbattere contro un corpo solido come il granito.
-          Mi scusi…! -
Lui era davanti a me, sorridente e sfrontato. Mi baciò all’improvviso, stringendomi appassionatamente ed io ricambiai quel bacio col cuore in gola dall’emozione.
-          Ti amo Susanna! Non rinuncio a te! Non questa volta!         -
-          Oh, Matteo, ti amo tanto anch’io!       -
Qualcosa nell’anima mi suggeriva che non ci saremmo lasciati molto facilmente…

"Una lezione da non scordare"

 
Quella sera, la tiepida brezza marina mitigava placidamente la canicola d’agosto. Varigotti traboccava di turisti e il Festival Cubano aveva attirato nel piazzale del mare numerose persone. L’allegra musica latino-americana riempiva l’atmosfera di un ritmo spensierato mentre io, seduta a un tavolino di un bar, mi guardavo attorno incuriosita. Ero in vacanza, ospite di mia sorella e avevo un mese intero per riposarmi dalle fatiche lavorative, il mese più bello dell’anno. Avevo accettato con entusiasmo il suo invito; Parma ad agosto era una fornace e l’idea di trascorrere un periodo di ferie in un’amena località del Ponente ligure mi aveva messo il buonumore addosso. Mia sorella Cristina era sposata da sei anni e viveva a Milano; col marito, avevano acquistato quella bella villetta al mare per trascorrere serenamente le vacanze estive con i figli.
-          I bambini hanno bisogno di aria buona, almeno durante l’estate!    - sosteneva.
Così lei, che aveva la fortuna di non lavorare, appena terminava l’anno scolastico a giugno, se ne veniva in Liguria con i ragazzi e ci rimaneva sino a settembre. Corrado, suo marito, veniva a trovarli nei week-end; la sua azienda, che produceva software, chiudeva solamente a settembre, così lui faceva il pendolare tra Milano e la cittadina ligure.
Quella sera ero uscita da sola; ero felicemente single. A trent’anni non avevo nessuna voglia di accasarmi né di avere figli. Mi tenevo stretta il mio lavoro di broker finanziario, ottimamente remunerato, e il mio loft in centro a Parma. L’estate al mare, la settimana bianca a Cortina e il Natale ai Caraibi con gli amici. Era la mia vita e me la godevo come mi pareva, al meglio. Nessun legame stabile; amavo divertirmi e se un uomo m’interessava, semplicemente me lo prendevo finché ne avevo voglia. L’innamoramento non faceva per me…
In quel momento i miei pensieri furono bruscamente interrotti; davanti a me si era piazzato un maschio molto attraente. Appoggiato al lampioncino, osservava svogliatamente il festival, guardandosi attorno senza uno scopo preciso. Alto e fisicamente massiccio, portava i capelli lunghi oltre le spalle, di un caldo biondo dorato che esaltava l’abbronzatura; non riuscivo a scorgerne gli occhi, forse azzurri…Accavallai le gambe in modo seducente, sperando mi notasse; il miniabito bianco che indossavo quella sera enfatizzava le curve “pericolose” del mio corpo ed ero ben conscia dell’effetto che facevo sugli uomini. Adoravo farmi corteggiare e fare la ritrosa, a meno che il maschio in questione non suscitasse un interesse tale in me da indurmi a saltare quella fase e passare subito a qualcosa di più piccante. Lo osservavo insistente…Perché non ti giri? Pensai, quasi un poco seccata…In quel momento, come se tra noi ci fosse stata una sorta di telepatia, lui si voltò…Ci guardammo silenziosi per qualche secondo, poi lui mi rivolse un sorriso accattivante che io ricambiai subito, dondolando indolente un piede avvolto da un sandalo argentato con tacco a stiletto. Lo vidi avvicinarsi a me, sicuro di sé ed io lo lasciai fare; era davvero un bell’esemplare! Riavviai i miei lunghi capelli corvini con una mano, lasciandoli ricadere lucidi e corposi dietro la schiena e mi protesi verso di lui.
-          Ciao! – mi disse semplicemente, senza addurre a noiose frasi tipo ”tutta sola?” oppure “spero tu non stia aspettando qualcuno!”
-          Ciao! Vuoi sederti? Sicuramente ti godrai meglio il Festival da seduto che rimanendo in piedi per tutta la serata! –
-          Grazie! Mi chiamo Luciano Sperti!   - disse, allungandomi la mano per stringermela. Era calda e asciutta, la stretta volitiva.
-          Gaia Tinterri!  -
-          Sei di Parma? - chiese.
-          Esatto! Parmigiana purosangue! E tu? - gli risposi sorridendo.
-          Torino, anzi, per essere più preciso abito a Nichelino ma lavoro in città!    -
-          Di cosa ti occupi?       - chiesi.
-          Sono medico anestesista! E tu? –
-          Broker finanziario presso una banca!-
-          Interessante…Come mai qui a Varigotti?     -
-          Sono ospite da mia sorella che possiede una casa di vacanza qui in paese! Varigotti è davvero molto carina, tranquilla e le spiagge sono favolose!            -
-          Verissimo, niente da invidiare alla Sardegna! E tu, dove vai al mare?-
-          Dove capita ma solitamente sono con mia sorella in uno stabilimento!       -
Sorseggiammo un cocktail insieme, chiacchierando amabilmente di futili argomenti vacanzieri. Luciano era davvero ammaliante; gentile e beneducato, bello da togliere il fiato. Gli occhi erano neri come giaietto, penetranti e misteriosi. Mi guardava, scrutandomi attentamente; ero consapevole del suo interesse nei miei confronti, esplicitamente ricambiato. Ammiravo la sua abbronzatura intensa e dorata, i suoi muscoli guizzanti sotto la polo griffata e quel sorriso smagliante. Desideravo approfondire la sua conoscenza, così sfoderai tutte le mie tecniche di seduzione affinate con anni di esperienza, certa che lui avrebbe capito le mie intenzioni. Improvvisamente si avvicinò di più a me; mi sfiorò il braccio con la mano, trasmettendomi una lieve scossa elettrica; per un attimo mi persi in quei due laghi oscuri.
-          Mi piacerebbe invitarti domani, se ti fa piacere, per una gita in barca! Possiedo un motoscafo, un Boston Whaler, giù al porticciolo col quale si possono raggiungere spiagge inaccessibili da terra…          -
Ecco fatto! Pensai, sorridendo tra me…l’avventura di agosto stava per cominciare…
-          Sarò molto felice di accompagnarti, Luciano!          -
-          Allora domattina ci vediamo all’ingresso del porticciolo alle dieci, ti aspetterò là!-
Chiacchierammo ancora un po’ e più tardi mi riaccompagnò a casa a piedi. Arrivati al cancello di casa di mia sorella, ci salutammo e lui mi sfiorò la guancia con un bacio a fior di labbra che mi provocò un brivido caldo lungo la schiena. La notte non dormii molto; la cosa era alquanto strana ma continuavo a pensare a lui. Mi aveva colpito molto più di tutti gli uomini che avevo incontrato in precedenza. Era sorprendentemente affascinante e cavalleresco, un vero gentleman, pensai, mentre le palpebre finalmente si chiudevano…
Il mattino seguente indossai un bikini da urlo comprato apposta per la vacanza, un abitino svolazzante color rubino ed occhialoni scuri da sole. Riempii una borsa di paglia con tutto l’occorrente per la gita in barca e con calma m’incamminai verso il porticciolo sulle mie altissime zeppe di paglia. Appena giunta sul posto, vidi Luciano che mi aspettava; ero arrivata apposta con qualche minuto di ritardo, il mio codice di comportamento mi vietava di essere puntuale a un appuntamento galante.  Lui mi squadrò dalla testa ai piedi con uno sguardo languido, seducente.
-          Sei favolosa!   -
Non risposi e mi limitai a sorridere, sorniona, ma ero felice del suo complimento e stranamente, il cuore mi batteva nel petto più del dovuto. Questo non dovrebbe accadere, pensai. Ero abituata ad avere sempre il controllo della situazione ma questa volta le mie difese tentennavano; in Luciano c’era qualcosa che mi prendeva dentro, mi faceva torcere lo stomaco e non era un buon segno.
Salimmo sul suo motoscafo e veloci, ci lasciammo il porticciolo alle spalle. La giornata era straordinaria; il sole splendeva nel cielo e il vento salmastro scompigliava i miei capelli corvini, lasciati liberi sulle spalle. Osservavo l’uomo che pilotava di fianco a me, soddisfatta della mia conquista. Raggiungemmo, dopo non molto, una caletta con una minuscola spiaggia bianca completamente deserta; un paradiso in terra solo per noi due. La barca poté avvicinarsi senza problemi alla riva e gettata l’ancora, scendemmo sulla battigia. Non feci in tempo a voltarmi per prendere le mie cose che Luciano mi strinse tra le sue braccia, baciandomi appassionatamente. Ricambiai quel bacio con trasporto, godendomi quel momento di assoluta beatitudine. Sapeva di buono, di dopobarba e menta e mi baciava con ardore. Quando si staccò da me, il mio fiato era ansante e le ginocchia rischiavano di piegarsi.
-           E’ da ieri sera che desideravo farlo, Gaia! Da quando ti ho visto a quel tavolino, non ho fatto altro che sognare di tenerti tra le braccia, di baciarti e…        - Non gli permisi di terminare la frase perché gli gettai le braccia al collo e lo baciai dolcemente, senza fretta. I pochi vestiti che avevamo addosso caddero ben presto sulla sabbia; facemmo l’amore lambiti dalle onde cristalline di quel mare meraviglioso, lo sciabordio che copriva i nostri gemiti di passione. Assaporai completamente il piacere che lui sapeva darmi con grande maestria e ringraziai di averlo incontrato. Persi la cognizione del tempo e dello spazio; non mangiammo nulla, tutto il cesto da pic-nic rimase sulla barca ma facemmo l’amore così tante volte che ne persi il conto, frastornata ed ebbra di voluttà.
-          Sei un sogno o realtà?            - gli dissi, rannicchiata tra le sue braccia.
-          I sogni non esistono, tesoro, ma la realtà, se assaporata nella giusta maniera, può essere molto piacevole!            -
-          Dottore, hai perfettamente ragione, la tua diagnosi non fa una grinza!- risposi ridendo di gusto mentre lui ricominciava a carezzarmi audacemente, riportandomi ben presto sulle vette più alte dell’estasi.
Rientrammo al porticciolo nel tardo pomeriggio. Luciano mi riaccompagnò a casa e questa volta mi baciò con trasporto davanti al portoncino. I giorni seguenti si susseguirono in uno stato di trance emozionale. Se non eravamo su quella bellissima spiaggetta, lo raggiungevo a casa sua, un appartamento molto chic sulla passeggiata e trascorrevamo le giornate tra le lenzuola, sorseggiando Mohito e frutta fresca. Ben presto mi accorsi che Luciano aveva spezzato la mia corazza, aprendo una crepa inesorabile nella mia anima di ferro. Mi ero innamorata di lui, per la prima volta amavo un uomo; dovevo ringraziare Varigotti, il sole, il mare e mia sorella che mi aveva invitato a trascorrere agosto da lei.
Quella mattina m’incamminai come il solito, verso il bar della piazza, dove c’eravamo conosciuti; di solito comperavo le brioche fresche e salivo da lui per fare colazione assieme nello splendido terrazzino coperto da buganvillee che dominava la spiaggia. Mentre mi stavo dirigendo verso casa sua, il mio cellulare squillò all’improvviso.
-          Gaia, sono io! Scusami, tesoro, ma ho avuto un imprevisto e oggi non potremo vederci! Mi spiace di averti avvisato così tardi ma è stata una cosa inaspettata!  Ti chiamo io appena mi libero, ok?    -
-          Va bene amore, nessun problema!     - risposi - Se vuoi ti allungo le brioche, sono vicina a casa!  -
-          No, no, meglio di no! Portale a tua sorella e fate colazione alla mia salute! –
Riattaccai il telefono, non senza una punta di delusione. Ormai era quasi la fine del mese, mancavano pochi giorni e sarei dovuta rientrare a Parma. Ne avevamo già discusso con Luciano, mettendoci d’accordo sul vederci nei week end a settimane alterne; un po’ sarei andata io in Piemonte e un po’ sarebbe venuto lui da me a Parma. Raggiunsi mia sorella ai bagni e trascorsi con lei e i miei nipoti, il resto della giornata. Lui non si fece sentire per tutto il giorno; la sera, un po’ preoccupata, provai a chiamarlo sul portatile ma risultò staccato. L’utente potrebbe avere il cellulare spento, recitava la voce meccanica. Ero in pensiero…cosa poteva essere successo? Mia sorella notò la mia preoccupazione quella sera.
-          Gaia, cosa succede? Non ti ha più richiamato?         -
-          No…non capisco, sono in pena per lui!        -
-          Mah, vedrai che forse avrà avuto qualche emergenza medica improvvisa. Domani sarai di nuovo tra le sue braccia!           -
Inutile dire che quella notte dormii poco o niente. La giornata successiva trascorse alla stessa maniera; il telefono era staccato, non rispondeva. Iniziai, mio malgrado, a percepire un orribile presentimento; una verità oscura si stava facendo strada dentro di me…La allontanai subito dai miei pensieri ma non potei fare a meno di passare sotto casa sua più volte in bicicletta. Le finestre erano aperte, le tende svolazzanti all’aria…ma allora perché da due giorni non mi chiamava? Che cosa stava succedendo?
La terza mattina decisi di appostarmi, nascosta sotto un porticato; se era in casa, alla fine sarebbe dovuto uscire. Aspettai per più di un’ora, poi il portone all’improvviso si aprì. Ne uscì Luciano, vestito sempre in maniera impeccabile, ma qualcosa mi pietrificò all’improvviso. Dietro di lui, una donna. Lo teneva per mano…Era bella, bionda e allegra…e lui le sorrideva di rimando, chiacchierando amabilmente. Non mi feci vedere; tremavo come una foglia e un senso di nausea mi attanagliava lo stomaco. Ritornai a casa, le lacrime che mi appannavano la vista sotto gli occhiali da sole. Chi era quella donna?
Mi trovavo ancora chiusa in casa, nel pomeriggio, a rimuginare sull’accaduto, quando il mio telefono iniziò a squillare. Guardai il display! Era lui! Forse avevo preso un abbaglio, forse era sua…sorella o una parente! Risposi tremando.
-          Gaia, sono Luciano! – disse, la voce piatta.
-          Luciano, ma che succede? Sono due giorni che …-
-          Senti, c’è poco da dire! E ‘estate, ci sono il sole e il mare, ci siamo incontrati e ci siamo piaciuti. Abbiamo trascorso un periodo molto stuzzicante insieme! Ma…adesso è finita! Le avventure iniziano e terminano, è la realtà della vita!-
-          Avv…avventura? E’ stato solo questo per te?-
-          Andiamo, Gaia! Sei tu che mi hai abbordato quella sera in piazza! Hai fatto di tutto per sedurmi ed io sono stato ben felice di buttarmi tra le tue braccia! Sei una bellissima donna, sexy, intrigante ma la storia ha già perso brio…    -
-          Chi era quella donna che è uscita dal portone con te stamane? Vi ho visto…-
L’uomo rimase un attimo in silenzio.
-          Chi vuoi che sia? E’ mia moglie!       -
In quell’istante sarei voluta sprofondare in un buco profondo e non uscirne più. Riattaccai il telefono; non vi era bisogno di nessun’altra parola. Luciano era sposato, mi aveva preso in giro nel peggiore dei modi. Ed io ci ero cascata come una ragazzina inesperta, alla faccia di tutta la mia esperienza, e mi ero pure innamorata di lui. Stupida! Piansi tutte le mie lacrime quel caldo pomeriggio di fine agosto. La mattina dopo ero in autostrada, sulla via di casa. Giunsi a Parma verso mezzogiorno; il loft era rinfrescato dall’aria condizionata. Feci una corroborante doccia fresca, mi cosparsi la pelle abbronzata di olio essenziale alla rosa e mi avvolsi in un accappatoio morbido.
La mia vacanza era terminata e questa volta le cose non erano andate nel verso giusto. Il mio cuore era a pezzi e ora avrei dovuto rimettere a posto i cocci della mia vita. Avevo voluto fare la parte della predatrice, invece ero caduta preda di un bastardo senza scrupoli. Aprii le finestre del terrazzino coperto di piante che si affacciava sulla piazza del Battistero. Respirai più volte riempiendomi i polmoni d’aria; da domani la mia vita ricominciava, una parentesi si chiudeva. Ora sapevo che ero in grado d’amare e che la vita non era solo un’avventura. Nonostante tutto, mi concessi di sorridere…avevo imparato una grande lezione e d’ora in avanti sarei stata ben attenta a non prendere sottogamba i sentimenti e il cuore……




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